Una
delle critiche che vengono fatte spesso ai sostenitori della tesi delle
“scie chimiche” è che in quasi due decenni di indagini, teorie e accuse
(le tesi sciachimiste risalgono ai primi anni Novanta) nessuno di
questi sostenitori ha mai fatto la cosa più semplice: prelevare un
campione di una scia ritenuta “chimica” e farlo analizzare in condizioni
rigorose.
Di conseguenza, il titolo “Scie chimiche: eseguito prelievo in quota” di un articolo pubblicato da Brucialanotizia.it sembrerebbe a prima vista un importante passo avanti.
Tuttavia la lettura dell'articolo rivela un dettaglio molto deludente: il campione è stato prelevato dentro la cabina di un volo di linea, non direttamente all'esterno. In altre parole, non è un campione di “scia chimica”.
È vero, come segnala l'articolo, che parte dell'aria della cabina è
prelevata dall'esterno, ma un prelievo effettuato in queste condizioni
può aver subito ogni sorta di contaminazione e soprattutto non si tratta di un campione d'aria di bordo acquisito durante il volo in quota, ma di un prelievo “raccolto da una insenatura delle pareti interne del jet”.
Il campione potrebbe essere semplice sporcizia accumulatasi negli anni:
potrebbe essere un residuo della fabbricazione iniziale dell'aereo o
dei prodotti usati dagli addetti alle pulizie a terra. Non c'è nessuna
conferma che sia davvero proveniente dalle quote di volo.
In queste condizioni, la presenza di “bario, alluminio, cadmio” nel campione – preso da un'insenatura di un aereo fatto in gran parte d'alluminio – non pare particolarmente straordinaria o sensazionale, e le analisi hanno un valore sostanzialmente nullo.
I
metodi d'indagine di questi sostenitori delle “scie chimiche” si
rivelano, insomma, a dir poco dilettanteschi e atti a screditare ogni
indagine critica sulle emissioni inquinanti degli aerei.